Italiani: sempre meno, più anziani e più soli

La popolazione in Italia è in calo, con conseguenze importati per il mercato del lavoro e per la sanità. Questa è la fotografia del nostro paese che emerge dal rapporto ISTAT sulle “Previsioni della popolazione residente e delle famiglie”.

La popolazione italiana sarà più piccola, con nuove e marcate differenze tra territori, e con una più spiccata diversità nella popolazione.

Se il Paese contava 59 milioni di residenti al 1° gennaio 2022 scenderemo a 58,1 milioni nel 2030, a 54,4 milioni nel 2050 fino a 45,8 milioni nel 2080. Una perdita complessiva di 13,2 milioni di residenti rispetto ad oggi.  Pertanto, nell’ipotesi più favorevole, la popolazione potrebbe subire una perdita di soli 6,2 milioni tra il 2022 e il 2080, di cui 2,5 milioni già entro il 2050. Nel caso meno propizio, invece, il calo di popolazione sfiorerebbe i 20 milioni di individui tra oggi e il 2080, 6,8 milioni dei quali già all’orizzonte del 2050.

Il progressivo spopolamento investe tutto il territorio, pur con differenze tra Nord, Centro e Mezzogiorno, che fanno sì che tale questione raggiunga una dimensione significativa, soprattutto in quest’ultima ripartizione. Secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (+0,3‰ annuo fino al 2030) un lieve ma significativo incremento di popolazione, al contrario nel Centro (-1,6‰) e soprattutto nel Mezzogiorno (-5,5‰) il calo di residenti risulta irreversibile.

La struttura della popolazione è oggetto da anni di uno squilibrio sempre più profondo, dovuto alla combinazione, tipicamente italiana, dell’aumento della longevità e di una fecondità costantemente bassa. Stabilmente sul podio mondiale dell’invecchiamento, oggi il Paese presenta la seguente articolazione per età: il 12,7% degli individui ha fino a 14 anni di età; il 63,5% tra 15 e 64 anni; il 23,8% dai 65 anni di età in su.

L’età media, nel frattempo, si è portata a 46,2 anni e ciò fa del Paese, insieme a pochi altri esempi nel mondo (Spagna e Grecia in Europa; Corea del Sud e Giappone in Asia), uno dei casi all’attenzione mondiale per i demografi nonché per gli esperti di economia e sviluppo sostenibile.

Le prospettive future comportano un’amplificazione di tale processo, governato più dall’attuale articolazione per età della popolazione che dai cambiamenti ipotizzati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di due terzi e un terzo rispettivamente.

Nel 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,5% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un minimo del 33,2% e un massimo del 35,8%. Comunque vadano le cose, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo fronteggiare fabbisogni per una quota crescente di anziani.

I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in parziale recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,2% del totale, registrando una moderata flessione in senso relativo ma non in assoluto. Infatti, sul piano dei rapporti intergenerazionali si presenterà un rapporto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di oltre tre a uno.

A contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni ’60 e prima metà dei ’70) tra le età adulte e senili, con concomitante riduzione della popolazione in età lavorativa.

Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3% in base allo scenario mediano, con una forchetta potenziale compresa tra il 53,2% e il 55,4%. Come per la popolazione anziana, quindi, anche qui si prospetta un quadro evolutivo certo, con potenziali ricadute sul mercato del lavoro e sul come assicurare il livello di welfare necessario al Paese.

Sembra inevitabile, quindi, che la popolazione diminuirà, pur a fronte di evidenze numeriche profondamente diverse, una dall’altra, che richiamano nell’immagine scenari non solo demografici ma anche sociali ed economici di impatto altrettanto diverso.

A colpire è anche il dato legato all’occupazione. Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2022 a circa uno a uno nel 2050. Avremo poi famiglie mini. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2042 solo una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà. Nel giro di venti anni nel nostro Paese aumento di oltre 850 mila famiglie: da 25,3 milioni nel 2022 si arriverà a 26,2 milioni nel 2042 (+3,4%). Ma si tratterà di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti scenderà da 2,32 persone nel 2022 a 2,13.

L’idea di famiglia suggerisce la presenza di quantomeno due persone, ma in realtà tra le famiglie è sempre esistita una componente di persone che vivono da sole. Se in passato si trattava in prevalenza di giovani uomini usciti dalla famiglia di origine per motivi di lavoro, da diverso tempo ormai è la quota di anziani che vivono da soli a caratterizzare questa “micro-famiglia”: tra i 9,8 milioni di persone che si prevede vivranno sole nel 2042, 5,8 milioni avranno 65 anni e più, con una crescita del 42% rispetto al 2022. Un campanello di allarme legato alla fragilità di questi soggetti, che in molti casi necessiteranno di cure e sostegno.

Fenomeni consolidati, quali l’aumento della speranza di vita e dell’instabilità coniugale, fanno sì che questa tipologia familiare crescerà nel complesso del 17%, facendo aumentare il suo contingente da 8,4 a 9,8 milioni nel giro di venti anni.  Peraltro, gran parte dell’aumento del numero complessivo di famiglie è dovuto alla crescita, assoluta e relativa, delle persone sole.

Un tale calo delle famiglie con nuclei deriva dalle conseguenze di lungo periodo delle dinamiche sociodemografiche in atto in Italia. L’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole, il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui e genitori soli.

Per la FNP CISL la situazione demografica del nostro Paese è più che mai un’emergenza che necessita di scelte condivise e interventi rapidi, bisogna infatti invertire quella che sembra una tendenza consolidata con un cambiamento strutturale delle politiche di popolazione.

Per ulteriori approfondimenti, in allegato l’indagine ISTAT.

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